Ehh, se non ci fosse Toni Servillo bisognerebbe inventarlo. Perché l’attore di “Gomorra”, “Il Divo” e altri successi di pubblico e critica, è ormai una garanzia in termini di performance e carisma e i registi italiani se lo contenderanno ancora per un po’. Stiano attenti però a non giocarsi male questa carta mentre sono lì seduti al tavolo con gli sceneggiatori. Perché il dubbio che si fa strada in noi spettatori di “Gorbaciof”, sesta regia del napoletano Stefano Incerti, è che il peso del film si regga in definitiva tutto sulle spalle del suo protagonista, a causa di una narrazione che lascia ben poco spazio a slanci di originalità e di densità emotiva e un po’ troppo a una sgradevole sensazione di déjà vu. Tutt’altro che deprecabile è la scelta di ridurre i dialoghi all’osso e lasciare che a parlare, per così dire, siano i volti, gli ambienti, i rumori (primo fra tutti, il fruscio delle banconote); ma poi il reiterarsi degli stessi gesti, delle stesse azioni che il solitario, scontroso e spiccio ragioniere di Poggioreale compie nella sua grigia quotidianità, più che enfatizzare la banale tragicità (o la tragica banalità) del suo destino in agguato, finisce semplicemente per annoiare, per scoraggiare l’interesse negli sviluppi di una vicenda che neanche la liaison con la bella cinesina riesce a risollevare più di tanto. I due sognano di volare via lontano, ma la coppia Servillo-Yang Mi non decolla, in tutti i sensi: lei sta lì, deliziosa e fuori luogo come un souvenir esotico preso in prestito da certa calligrafica cinematografia orientale. Insomma, “Gorbaciof” ha qualche pretesa autoriale e in sostanza passa come un compito svolto diligentemente. Ma, per sua sfortuna, è stato preceduto da un certo film di Paolo Sorrentino con cui, come è stato da più parti rilevato, ha forti debiti e punti di contatto, oltre ad avere lo stesso protagonista. Altro stile, lì, altra visionarietà, alt(r)o senso del ritmo.
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